Masseria Jesce

Obiettivo Uno - Masseria Jesce
Valeria

Monumentale esempio di architettura rurale.


Obiettivo UNO, chi ci conosce lo sa, ha fatto della ricerca e la valorizzazione dei luoghi abbandonati la missione primaria di un progetto non solo fotografico. Scavando nel passato di questi luoghi, abbiamo tentato di ricostruire le vicende sociali, economiche e di costume di un territorio tutt’affatto depresso e privo di connotazioni culturali. Le masserie disperse in ogni angolo del nostro sud, e della Puglia in particolare, sono la riprova tangibile di quanto ricco è stato il tessuto economico, sociale e culturale dei nostri predecessori. Accreditati studi dimostrano ampiamente come il sud della penisola, fino a unificazione avvenuta, fosse ben più ricco ed evoluto del nord e del centro. Il nostro collettivo propugna strenuamente il recupero, se non della ricchezza economica, almeno di quella culturale, ove possibile, anche attraverso il riuso delle testimonianze abbandonate di tale ricchezza: le masserie in primis.

In questa ricerca, stavolta, la masseria Jesce, monumentale esempio di architettura rurale tipica dell’organizzazione latifondista dell’economia agricola del Sud, ci ha surclassati facendosi trovare, agli obiettivi delle nostre reflex, già ristrutturata e “riusata“. Pronta a svelarci risvolti del nostro passato carichi di valore culturale dove religione e paganesimo, ricchezza e povertà, realtà e magia si fondono in un unico racconto. Per una volta, quindi, Obiettivo UNO non parlerà di abbandono. Accompagnati da un Virgilio d’eccezione, Donato “Emar” Laborante, menestrello, guida e custode del prezioso andito, vi racconteremo le meraviglie del manufatto e la grandezza che in esso perpetra.

Jesce svetta a undici chilometri sulla strada provinciale 41, da Altamura in direzione del metapontino, seguendo il percorso dell’Appia Antica. Pare sia stata edificata sul luogo dove antiche cronache di epoca romana attestano la presenza di una stazione di smistamento (Posta), luogo di sosta e ristoro, sulla via che collega Gravina con Taranto, funzione che ha mantenuto nel tempo per greggi e pastori durante la transumanza. La sua particolare conformazione, che ricorda quella di un vascello intento, appunto, alla navigazione verso il mare (tanto da sollecitare non poche legende e suggestioni mistiche relative all’arcaico rapporto di queste terre sitibonde con l’acqua che scorre sotterranea) la rende unica nel suo genere. Eretta intorno al cinquecento secondo lo schema di fortificazione in uso all’epoca per la difesa del latifondo del quale costituiva fulcro vitale, ha Il proprio nucleo originario nell’unico corpo di fabbrica che la costituisce, risalente al IV sec. a.C.. Gli antichi proprietari, i Signori Mari (originari liguri, come racconta Donato), ne fecero nel seicento un luogo di culto arricchito nei secoli da affreschi che testimoniano la religiosità di quella laboriosa comunità rurale. La cripta originaria sottostante il corpo di fabbrica, infatti, tutt’oggi risplende di affascinanti affreschi: da quello dedicato a San Michele Arcangelo, ai bellissimi riquadri parietali del XVII sec. realizzati da Didaco de Simone. Ma sono presenti anche affreschi trecenteschi quali la Déesis (Cristo benedicente tra la Madonna e San Giovanni Battista), attribuita al pittore Giovanni da Taranto.
Dopo decenni di abbandono, nella prima metà degli anni ottanta il comune di Altamura ne acquisita la proprietà dai fratelli Maiullari e ne avvia la ristrutturazione ed il riuso progettando interventi orientati ad un turismo lento, meta di tour enogastronomici, percorsi-natura, stage teorico-pratici, laboratori didattici e percorsi ciclo turistici. Un ambizioso programma che, tuttavia, stenta a decollare ma, nell’attesa, Donato Laborante assicura custodia e accoglienza presso la masseria, elargendo, a chi (come noi) ne dimostri interesse, racconti frutto delle profonde conoscenze maturate negli anni di attento e meticoloso studio della storia del prezioso andito. Il testo che segue, gentilmente concessoci da Donato, è il compendio di una storia ricca di suggestioni. Lasciamoci guidare dal suo arcaico eloquio che tanto arricchisce un’atmosfera già fascinosa di suo.


Il racconto di Donato parte da lontano: “Il villaggio neolitico di Jesce era abitato da bellissime donne che da sempre tessevano gli umori dei giorni accompagnando sul telaio della vita il rumore di fondo delle stagioni. Quando si arrivava si restava catturati dalla musica delle attese dove pastori anacoreti guardavano il senso dei tuoi passi per carpirne i significati e anticipare i convenevoli. Daddò vinne et Accì appartinne (da dove vieni et a Chi appartieni) era la prima domanda che ti veniva fatta per metterti a tuo agio per iniziare una conversazione che in realtà sarebbe risultata l’epilogo di una conversione: l’inizio del viaggio risiede nell’arrivo anzi nella partenza.”

Ma cos’erano i villaggi neolitici? “I villaggi neolitici erano e restano il canto aristotelico delle scuole di orientamento dove le comunità crescevano vivendo di pastorizia e di agricoltura su quella che è terra promessa avuta in dono per conoscere e farsi conoscere dai linguaggi della mutazione il verbo. Ra cogliere il frutto dall’albero della vita è conoscenza. Vivevano nelle grotte pastori anacoreti oltre alle famiglie del grande villaggio neolitico di Jesce che stipata e stimata la lana delle pecore trascorrevano il tempo a tessere sul telaio dei giorni il mistero della vita. C’erano e ci sono ancòra le grotte su tutta la Murgia dove comunità di anacoreti si incontravano per onorare l’aurora con le loro preghiere fatte di corollari di silenzi e tra queste grotte qualcuno iniziò a dipingere affreschi per dare colore e testimonianza ai ra conti dei viandanti alle temperanze dei colori ai bisogni dei ricordi.”

Il racconto si fa di-segno: “Iniziò la grande narrazione nella grotta che a malapena si poteva entrare ma che i pastori avevano man mano lasciato alle solitudini dei viandanti che avevano deciso di restare lì sul misurato spazio di un giaciglio da scavare nella roccia che si lascia modellare la calcarenite carezza del tempo. Avevano dato vita ad una comunità anacoretica e con gli anni la grotta iniziò a trasformarsi in Cripta con affreschi: colorati di terre del luogo apparivano e s-comparivano in base al tasso di umidità li dove il terreno calcarenitico conteneva l’umore dei caratteri delle scritture il segno. Dopo aver affrescato Madonna con bambino e melograno continuarono ad affrescare in base agli arrivi dei ra conti e nel 1200 si aggiungevano un Cristo pantocratore con Maria e Giovanni l’apostolo, una san Michelarcangela di una inaudita bellezza con il globo crucifero affiancata da san Nicola Pellegrino patrono di Trani mentre dall’altro lato frontale venivano affrescati un san Giuseppe Ora Pro Nobis ed un san Biagio protettore della gola. Sulle pareti i santi Medici daranno spazio nel 1600 alla costruzione di un altare in omaggio a san Francesco di Paola rabdomante protettore dei marinai e dei naviganti.”

Ma ecco che arriva il tempo di costruire: “…restiamo nel solco del dettato in quanto nel 1600 la grotta viene allargata e costruite delle pareti su cui far troneggiare un san Francesco di Assisi con accanto un immenso san Michele arcangelo così come lo troviamo a Montesantangelo con la scritta al centro QUIS UT DEUS (chi è come Dio). Al fianco un domenicano (san Domenico) con cagnolino e fiaccola. Dall’altro lato viene costruito un battistero in mazzaro sempre contorniato da affreschi. Molto simile per bellezza se pur più piccolo alla grotta di san Michele delle Grotte in Altamura città che dell’abbandono ne ha realizzato lo spirito salvifico. Uscendo si fanno notare san Paolo e san Pietro con l’Angelo orante o annunciazione.”

Il sogno di una masseria come centro della vita e della cura dell’acqua, il bene più prezioso: “Tutta Murgia Catena veniva e viene a tra versata da tratturi che portavano le greggi sulle vie delle transumanze e gli spazi erano visibili e percorribili dal senso delle stagioni con puliti canali che fiancheggiando le lame canalizzavano le acque verso pozzi cisterne piscine luoghi sacri per il ra coglimento del bene più prezioso: l’acqua. Ogni villaggio neolitico vista la crescita demografica e il benessere della popolazione si ingegnò nella costruzione di una Masseria con materiale preso e lavorato sul posto ricco di calcarenite affinchè venisse glorificata la magnificenza dei materiali. La possibilità di approvvigionarsi in loco fece si che il colore dei tramonti rilasciati dal màzzaro elevò a canto il ra coglimento delle acque per cui le Masserie divennero vere arche di Noè dove gli umani e gli animali trovavano rifugio ra cogliendo le acque piovane dai loro tetti in puro cotto canalizzandole verso grondaie realizzate come ornamento dalle mani di maestranze del luogo che si divertivano a imbarare le discipline dei silenzi.”

Una genia di rabdomanti, illuminati visionari: “Su questi scenari di pace e condivisione nel 1600 scende nelle Puglie da Genova la famiglia De Mari. Floriano De Mari sente il ricamo dei richiami e per onorare un luogo sacro come il villaggio neolitico di Jesce e la sua Cripta dell’Angelo fa realizzare una statua in onore di Francesco di Paola rabdomante costruendogli un altare. Floriano De Mari sente le volontà dei bisogni e realizza la costruzione di una nave dedicata al suo protettore il rabdomante monaco fondatore dell’ordine dei Minimi Ma avverte che come in tutti i luoghi và dedicata a san Michele arcangelo tutta la costruzione di una nave che deve simboleggiare il viaggio di ritorno dalle tessitrici di Jesce canto micaelico del recupero dei viaggi di ritorni.”

Salpa sulle pietre il favoloso vascello nato da quelle stesse pietre: “Avverte che la grotta della Cripta dell’Angelo di Jesce ra chiude il canto delle chiese rupestri partendo da Spinazzola Gravina Matera Laterza Ginosa Castellaneta Statte Mottola Massafra Grottaglie fino allo Jonio ra contano al mondo l’arrivo in Europa della cristianità. Realizza con le maestranze del luogo un monastero che ha le dimensioni di una grande nave per 4 monaci che devono governare il senso spirituale del luogo. I 4 monaci come i punti cardinali scendevano direttamente dalla nave in Cripta tramite un cunicolo costruito anche per l’areazione e la condensazione dell’umidità che di tanto in tanto dovevano apparire e s-comparire affinché tutti restassero nel mistero delle parzialità. La conoscenza et il rispetto dei venti permea questo canto.”

Lo scrigno del tempo nasconde tesori di conoscenza: “Nella Cripta dove governa il “perdono” di Gesù di Nazareth, la “rottura” di san Michele arcangelo, “l’umiltà” dei due francescani maestri della povertà, “l’accoglienza” veniva offerta tra le braccia di Maria che simbolicamente voleva essere fisicamente la Masseria. Questo era il disegno e la volontà del poeta Fluviano De Mari e questo venne realizzato. Oggi ci troviamo uno scrigno dove viene ra contata la grande narrazione della nascita del cristianesimo in quanto come appena tutti si resero conto della grandezza simbolica della costruzione dedicarono nel 1600 il ciclo mariano affrescato in alto nella Cripta dell’Angelo dove si omaggia tutta la storia di Maria.”

Un ringraziamento particolare al geom. Donato Pinto, consigliere comunale all’epoca dell’acquisto della Masseria Jesce da parte del Comune di Altamura per le informazioni fornite in argomento, e al nostro menestrello d’eccezione Donato Emar Laborante per la sua storia “cantata” e soprattutto per le emozioni che ci ha trasmesso.


Non c’è in Europa una regione così facilmente accessibile, quasi a portata di mano, che sia così prodiga di sorprese nel campo dell’architettura e della scultura e che ci dia, a un livello così alto, la piacevole sensazione di esserci allontanati nel tempo e nello spazio.

André Pieyre de Mandiargues, sulla Puglia

Autori: Valeria – Antonio – Mimmo

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