La villa dei misteri
Storia e credenze popolari di una piccola “masseria padronale” pugliese.
L’Esplorazione Urbana è molto più di un semplice passatempo; è una passione che ci permette di perlustrare il lato nascosto della nostra regione, di catturare un passato dimenticato e di condividere storie affascinanti. Se fatta in modo responsabile, l’urban exploration può aiutare a preservare la memoria di luoghi ormai destinati all’oblio e a far riflettere su come lo spazio che ci circonda si trasforma nel corso del tempo. Una subcultura controversa: da un lato il desiderio di scoprire l’ignoto e l’inaccessibile e dall’altro la questione etica e di sicurezza. Ma quello che accomuna molti urbexer è la lotta contro il degrado urbano e, spesso l’impegno nel ripristino e nella conservazione dei luoghi visitati. Ed è proprio la passione per i luoghi abbandonati e l’architettura che ci ha condotto alla scoperta di un affascinante villa dell’800, in stile neogotico, sita in agro di Gioia del Colle.
Fin da subito ci ha incuriosito la sua magnificenza architettonica e la sua storia, ci ha stupito scoprire leggende e inquietanti racconti, che la descrivono come una villa misteriosa. Infatti si riferisce di gente che abbia udito pianti, grida, rumori e che la villa sia avvolta da un velo di mistero e maledizioni; tutto questo ha contribuito al suo abbandono.
La villa è appartenuta ad una famiglia dell’aristocrazia napoletana: la famiglia Cassano, che arriva in Puglia nel ‘400 prendendo dimora inizialmente nel territorio di Noci. Nel 1612 una parte della famiglia si trasferì a Gioia del Colle e grazie ad una unione matrimoniale con la famiglia Gigante, originaria di Acquaviva delle Fonti, accresce e consolida il proprio patrimonio agrario e architettonico. Fra le varie acquisizioni fu comperato anche il Villino Milano, una piccola masseria padronale appena fuori il paese. Tale acquisizione fu opera di Paolo Cassano, proprietario terriero ed industriale, diventato noto per la distillazione di vini che venivano esportati in Europa e America, ricevendo riconoscimenti a livelli internazionali. Quest’ultimo affidò il progetto di ristrutturazione del “villino” all’architetto gioiese Cristoforo Pinto (lo stesso di Villa Cassano situata nel centro del paese) che fu affiancato dalle sapienti mani del maestro Gaetano Donatone, costruttore locale.
Attraverso un cancello metallico sorretto da due colonne merlate a forma di torrione difensivo si accede al maestoso giardino. Al centro di questo, ormai preda della vegetazione spontanea, si erge la maestosa villa e si intravedono i resti di un vigneto, di un agrumeto, piante di lentisco, di ippocastani e di lecci secolari. Il fabbricato è costruito con materiale edilizio tipico del territorio gioiese (fino alla metà degli anni ‘50 era utilizzato per tutte le nuove costruzioni): blocchi di carparo, per lo più lasciati facciavista. L’edificio si sviluppa in senso orizzontale ed è diviso in tre parti, tra loro collegate senza soluzione di continuità. All’estrema destra è visibile la vera e propria Villa che costituisce il primo nucleo abitativo e che si eleva su due livelli; l’architettura riporta allo stile neogotico, come si deduce dagli archi di chiusura delle finestre e del portone. Al piano terra sono presenti due bifore e un arco ogivale centrale, mentre al primo piano possiamo ammirare tre monofore. Queste finestre finemente decorate da una cornice, ricopiano nella forma il modello utilizzato nella costruzione della chiesa di Santa Lucia dello stesso architetto. Sul prospetto al primo piano è visibile una loggia posizionata sull’avancorpo della costruzione che racchiude la porta di accesso all’abitazione. Troviamo diverse decorazioni, in particolare lungo la zona di raccordo tra i due piani: a rettangoli pendenti nella parte bassa e ad archi nella parte alta. Al suo interno si trovano ancora i resti di una cucina in muratura, decorata con piastrelle quadrate bianche, ed è presente la grossa cappa per i fumi che sovrasta l’intero corpo cucina che era alimentato a fascine. Proseguendo sbuchiamo sul tetto, impreziosito da pregevoli merlature. Seguendo verso sinistra troviamo una muratura di raccordo, alta fino al livello del primo piano, sormontata da fregi a coda di rondine e con un portone ad arco che immette in una piccola corte. Al centro di questa scopriamo un pozzo in pietra. Continuando arriviamo ad una cappella, che presenta sul prospetto un portale lavorato. Su di esso un cartiglio sormontato da un decoro ondeggiante. Più su un’apertura di forma circolare, e ancora una nicchia, che sicuramente racchiudeva la statua di un Santo. Continuando a salire trova posto una nicchia più piccola, che contiene il mezzo busto di una Santa o di una donna appartenente alla famiglia Cassano, magari quella che aveva voluto la costruzione della cappella stessa. Al di sopra della seconda nicchia si eleva una piccola colonna sul cui capitello è scolpito un uccello; una Croce completa la costruzione. Il tetto è costituito da due archi circolari, simili ad un mantello aperto o a due braccia che si spalancano per invitare gli uomini ad entrare in chiesa. Davanti all’ingresso un muretto basso, che forma un piccolo sagrato, mentre sul lato sinistro, in posizione rientrante rispetto al prospetto, è posizionato un piccolo campanile. Varcata la soglia dell’ingresso una gradita sorpresa: troviamo ancora quasi intatto un altare policromo sovrastato da una nicchia artisticamente lavorata, ma privo di dipinti, statue ed arredi sacri. Questo non permette di individuare a chi era intitolata la cappella. Il soffitto decorato presenta al centro degli archi ogivali la rappresentazione dello Spirito Santo sotto forma di colomba. La costruzione termina con un altro ambiente monovolume, utilizzato molto probabilmente come stalla e come deposito, con evidenti segni di incompleto restauro.
La masseria padronale verso la fine del secolo scorso venne lasciata la prima volta in stato di abbandono per alcuni anni, a causa della morte di alcuni componenti della famiglia Cassano. Nei primi anni del duemila, con la fervida visione di riportare al giusto sfarzo la villa, fu acquistata da un imprenditore edile di Santeramo. Fin da subito si adoperò ad un cospicuo restauro, soprattutto nella parte posteriore del fabbricato, creando uno spazio dietro le stalle, molto probabilmente ne voleva fare una sala ricevimenti o un relais. Il tutto è rimasto incompiuto, perché proprio durante i lavori l’acquirente morì improvvisamente confermando, a chi dimostrazioni voleva, la maledizione strisciante tra le stanze ed i corridoi.
In modo inspiegabile molti luoghi abbandonati sono caratterizzati da storie incredibili, che spesso raccontano di episodi infausti; in questo caso l’episodio è legato al pozzo in pietra e si racconta di un bambino lasciato morire al suo interno la cui anima vaga ancora in questo luogo e di cui ancora si ode il suo pianto disperato provenire dal fondo del pozzo. E, ancora più strano proprio perché raccontato dall’ultimo acquirente della Villa, si racconta di oscure forze che smantellavano di notte ciò che l’operosità dei mastri carpentieri edificavano di giorno. Narrava che mattonelle collocate a pavimento, venissero ritrovate il giorno successivo pulite e debitamente impilate da mano esperta e diligente. Con l’esperienza abbiamo dedotto che molte di queste voci erano sapientemente divulgate dagli stessi proprietari a mo’ di protezione dell’abitazione stessa o dagli interessati all’acquisto per far scendere il valore della proprietà. Un modo furbo ed economico che, alimentato dall’alone di mistero che spesso avvolge questi posti, poteva assolvere ad altre intenzioni. Rimane la certezza, accompagnata dall’amarezza, di una struttura meravigliosa destinata all’oblio.
Autori: Valeria – Mimmo