Il Castello di Binetto

Obiettivo Uno-Il Castello di Binetto
Valeria


Il baronato acquisito grazie allo stratagemma di un falsario.


Esplorando il nostro territorio, a volte, si ha la sensazione che tutto sia accaduto qui. La nostra Italia appare come un enorme nastro scorrendo il quale, a ritroso, risulta assai difficile mettere una parola fine per determinare un inizio. La storia si dipana in un intricato cascame di accadimenti che possono portare alla luce trascorsi sorprendenti. Non sveliamo nessun segreto. E’ noto che la nostra patria, anche se poco amorevolmente, “culla” civiltà, culture, bellezze artistiche millenarie come mai altrove, e non smette mai di sorprendere in una eterna scoperta di sempre nuove conferme. Al di là, e oltre i mai troppo celebrati colossei, torri pendenti, castelli federiciani, basiliche e cattedrali, può accadere che un dimenticato palazzetto in uno a caso degli ottomila centri storici disseminati per lo stivale, finisca col rivelare ignorati legami con la Storia, quella con la “esse” maiuscola. E qui sta il bello dell’esplorazione urbana, una pratica che, al di là dell’avventura e delle sfide adrenaliniche, apre le porte della conoscenza. E’ il caso del Palazzo Baronale di Binetto, piccolo comune dell’area metropolitana del capoluogo, esplorato qualche tempo fa dal nostro Collettivo. La costruzione, fagocitata dallo sviluppo urbanistico, si presenta oggi come un elegante ancorché abbandonata magione tardo settecentesca sorta sui resti di un antico castello medievale risalente al 1086, edificato per volontà della famiglia Altavilla in virtù della rilevanza economica e strategica dell’area all’epoca. Struttura e destinazione dell’edificio sono profondamente mutati nel corso dei secoli ed oggi fa mostra del suo antico splendore in quel che resta di fregi, scalinate, affreschi e vetrate cesellate. L’antica storia delle nostre terre rivive nelle sue stanze, vicende il cui lustro dovrebbe essere impegno di tutti raccontare ad imperitura memoria di una grandezza del nostro sud mai abbastanza celebrata. Il “Castello” passa di mano, com’è immaginabile, tantissime volte nel corso dei secoli (tra il 1085 ed il 1948) e ogni passaggio, soprattutto quelli avvenuti tra il ‘700 fino al ‘900 determina traumi irreversibili nella struttura originaria.
Il palazzo, come detto, sorge su ciò che fu un castello risalente all’anno mille e si deve alla volontà di Umfredo degli Altavilla e all’importanza del feudo che, all’epoca, vantava essere Binetto. Bari era poco più che un villaggio di pescatori arroccato su di un promontorio prospicente la costa, più o meno nella zona dell’attuale complesso di Santa Scolastica. Di contra, molti dei comuni dell’entroterra godevano di notevole attenzione da parte dei sovrani dell’epoca, soprattutto per questioni strategico-militari. Intorno all’anno mille, Altavilla partecipa ad un “diploma” (forse un antesignano bando di assegnazione) con il quale Roberto il Guiscardo concede dal 1078 al 1089 “…per la mensa arcivescovile di Bari, i Baronaggi di Bitritto e Cassano…”. Non ci sono errori “il Baronaggio di Bitritto”, Binetto riesce a beneficiare di tale titolo grazie allo stratagemma di un falsario, probabilmente fondato sulle assonanze fonetiche dei nomi. Questo atto attesta l’importanza militare del feudo in un momento in cui l’avvio del processo di unificazione del Mezzogiorno d’Italia, voluta da Ruggero II d’Altavilla. a partire dal Natale del 1130, consacra definitivamente Binetto al ruolo strategico che gli competeva rientrando nel novero dei feudi sede di “truppe regie integrate da armati e da cavalieri messi a disposizione del sovrano da parte dei feudatari”. Occorreva, di fatto, accasermare 11 cavalieri e 12 fanti a difesa di un territorio ricco ed esteso per sua natura. Si alzarono torrione e mura a cintura del paese e ai lati del neonato Castello furono aperti passaggi a uso di porte. Binetto entra, così, di diritto nel più ampio progetto di difesa che Ruggero II imbastisce per fronteggiare la minaccia di un attacco al Regno di Sicilia costituita dall’alleanza tra Corrado III di Germania e l’Imperatore Bizantino Comneo (siamo nel 1149).
Nel corso dei secoli a seguire il palazzo è passato di mano altre 35 volte. Il più famoso tra i proprietari fu Robertus de Binetto, Barone di Binetto, feudatario cui fu affidato il controllo militare fino a Guglielmo il Buono che si fregiò dell’appartenenza alla corte di Tancredi. Tra gli ultimi proprietari si annovera Giambattista d’Amelj Melodia (seconda metà dell’ottocento) anch’egli Barone di Binetto, figlio di Luisa de Angelis Marchesa di Torre Ruggiero coniugato con Ottavia Castelli dei conti di Terni (aggiunse al proprio il cognome Melodia a seguito di adozione da parte della Baronessa Maddalena Melodia nel 1901). Per successione ereditaria, a seguito del decesso di Giambattista, il Castello – Palazzo Ducale fu interamente assegnato al figlio Gabriele coniugato in prime nozze con la Baronessa Mariannina Sottile Mininni ed in seconde nozze con la Baronessa Angela Frammarino dei Malatesta da Rimini. Al decesso di Gabriele (1918), come disposto da testamento olografo, la proprietà fu interamente assegnata al figlio maggiore Giambattista, coniugato con Maria Tarantini dei Baroni di Melpignano e Vernole. Alla prematura morte di Giambattista (1935) ed in assenza di figli e di disposizioni testamentarie, con apposito atto notarile il palazzo fu assegnato per un terzo al fratello Vincenzo, per un terzo al fratello Giuseppe e per un terzo alla vedova. Quest’ultima, dopo nuove nozze, vendette i locali al piano terra ricevuti in eredità ed il resto è storia moderna. Il palazzo attualmente beneficia di alcuni interventi di consolidamento in vista di una più completa ristrutturazione. Attraverso il grande portale si accede all’androne, ampio e lastricato di “chianche”, dove anticamente si affacciavano la selleria, la pagliera e lo scrittoio, ambienti preclusi da accessi attualmente murati. Al fondo la stupenda scalinata, costituita da sei ballatoi sottostanti ad altrettanti archi a tutto sesto, ed all’interno della quale gradoni di pietra salgono attorno alla struttura portante centrale, in entrambi i lati, per gli accessi alle stanze e ai sotterranei. Questi ultimi sono gli unici ambienti completamente ristrutturati e contengono i resti del castello del mille, sostanzialmente ampi corridoi dalle volte molto alte, interamente ricavati con pietre affastellate, e una cucina in maiolica di recente manifattura. Il primo livello ospita un grande salone, accessi alle stanze, finestre e balconi. I soffitti, in alcuni punti pericolosamente compromessi, sono affrescati finemente ma occorrerebbe un urgente restauro per preservarli recuperandone l’antico splendore. Una porta a vetri, istoriata con l’effige del casato, conduce in un ambiente dove, occultato in una sorta di grande armadio con ante disegnate a temi religiosi, si trova l’altare per i riti del culto. Il secondo livello è, sostanzialmente, il sotto tetto dove si apprezza la struttura lignea portante, gli incastri delle travature e i sostegni metallici che reggono il solaio di tegole. Gli interventi di recupero dell’intera struttura sono, pur se discontinui, tutt’ora in corso e l’attuale proprietà sembra orientata a completarli restituendo l’edificio al suo antico splendore. Un grande grazie va a Cataldo Tarantini Leone Barone di Vernole e Marchese di Melpignano che ha condiviso con noi gli appunti storici e soprattutto spalancato le porte del castello ai nostri obiettivi.


L’architettura comincia dove due pietre vengono sovrapposte accuratamente

– Ludwig Mies Van Der Rohe

Autori: Valeria – Antonio – Mimmo

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