Villa Pignicedda.
Un tesoro architettonico dimenticato
Nel cuore della pianura salentina, a pochi chilometri da Brindisi, sorge una affascinante testimonianza della storia e dell’architettura italiana: Villa Pignicedda, una masseria cinquecentesca chiamata anche Pigna San Martino. Questo edificio, un tempo maestoso, rappresenta non solo un pezzo di storia locale, ma anche un esempio significativo di stile e opulenza architettonica. La masseria ridefinisce la campagna e, soprattutto, la vita che si conduceva in essa: da luogo di produzione a sito con funzioni residenziali. Oggi, però, la Villa giace in uno stato di abbandono, un testimone silenzioso di secoli di trasformazioni culturali e sociali, dimenticata e in attesa di una rinascita che sembra non arrivare mai.
Le prime testimonianze della masseria risalgono al 1585 con un atto notarile, in cui risulta la famiglia Monetta proprietaria dell’immobile e del terreno circostante. Dopo alcuni passaggi di proprietà, a metà del XIX secolo, fu acquistata dalla famiglia Giannelli e, per disposizione testamentaria, nel 1897 la proprietà dell’immobile con l’intera campagna che la circondava fu trasferita a Serafino Giannelli, figlio di Damiano e Rosaria Pinto. Serafino fu uomo politico, prima sindaco e poi podestà di Brindisi; oltre alla masseria, ricevette in eredità numerose aziende agricole diventando un eccellente produttore di vini. In questo periodo la borghesia italiana iniziava a prosperare e a investire in dimore sontuose che riflettessero il loro status e il loro gusto per il bello. Il Giannelli nei primi anni del ‘900 commissionò i lavori di trasformazione della masseria: non solo una residenza, ma anche un simbolo di prestigio. Ed è così che nacque Villa Pignicedda come è rimasta a noi, un capolavoro architettonico, combinando elementi neogotici con dettagli liberty, molto in voga all’epoca. Lo stile richiama molto anche il “moresco” salentino e volge una mano ad oriente con la torretta che assomiglia ad un piccolo minareto. Anche la merlatura a coda di rondine di origine medioevale fa pensare che queste strutture venivano adornate accostando elementi che piacevano ai proprietari, magari visti durante i loro viaggi, che non avevano grandi collegamenti fra loro e, tanto meno, si rifacevano ad un’epoca ben precisa. Al suo interno troviamo ampi saloni affrescati e anche la cucina, molto grande per una residenza estiva, allestita con più forni e fuochi per fronteggiare le varie feste che vi venivano organizzate. L’immenso giardino della tenuta era disseminato di statue dal gusto liberty; si racconta anche di pavoni che passeggiavano al suo interno completamente adornato di piante orientaleggianti e dal gusto esotico. L’interno della cappella rurale annessa alla villa era decorato da maioliche che rappresentavano due santi. Durante il suo periodo d’oro la villa, oltre ad essere un gioiello architettonico, era il fulcro della vita sociale e mondana della nobiltà e borghesia locale, un luogo dove si intrecciavano politica e intrattenimento, tant’è che nella villa fu anche costruito un alloggio per ospitare il sovrano di Savoia durante il suo periodo di permanenza a Brindisi.
Nel 1962 alla morte di Serafino, il quale non aveva avuto figli, la proprietà viene ceduta per l’ottanta percento all’appena costituita Fondazione Giannelli e il rimanente venti all’ospedale “Perrino” di Brindisi, mentre l’usufrutto viene concesso alla moglie Concetta Tanzarella e alla nipote Maria Rosaria. Nell’intenzione testamentaria c’era anche il sogno di adibirla a casa di riposo e per indigenti, tant’è che la Fondazione nel 1967 viene riconosciuta, sia dallo Stato che dalla regione Puglia, nonostante fosse privata, di diritto pubblico, proprio perché il beneficiario è il pubblico stesso, eleggendola a Ente Morale. Dobbiamo aspettare il 1997 per la nomina di un ingegnere che approntasse un progetto per una casa di riposo nelle campagne antistanti alla villa, ma stilando la situazione dei beni immobiliari ci si accorge che la gran parte delle proprietà della Fondazione è stata occupata abusivamente in questi anni. I tempi si allungano e nei primi anni del 2000 la villa viene venduta a privati, come le altre proprietà lasciti del Giovanelli, per acquisire fondi per la costruzione del ricovero per anziani. Con una variante urbanistica per la villa era stato approntato un progetto che prevedeva la costruzione di un albergo a quattro stelle e soprattutto un centro per l’ippoterapia. Ma subito dopo, lo stesso Consiglio Comunale, deliberò una seconda variante a favore della casa di riposo, bloccando il progetto del lussuoso hotel e facendo perdere interesse da parte del privato. Nel 2017 l’ultimo cartello: Vendesi. Possiamo solo pensare che il privato che l’ha acquistato non ha più intenzione di recuperarlo tanto da chiedere alla Fondazione di ricomprarselo e da collocarlo in vendita sul sito di un’agenzia immobiliare.
Nonostante la sua bellezza e il suo valore storico, Villa Pignicedda non è riuscita a sfuggire al destino che spesso attende le grandi dimore del passato: il declino e l’abbandono. Con il passare degli anni e i cambiamenti socio-economici è stata progressivamente trascurata. La Fondazione, un tempo potente e influente, ha visto diminuire la sua fortuna, e con essa, la capacità di mantenere e preservare la villa.
Oggi, l’immobile si trova in uno stato di abbandono desolante. Le finestre sono sbarrate, molte delle strutture interne sono crollate o pericolanti e la vegetazione ha preso il sopravvento sui giardini e sulle facciate. Gli abitanti di Brindisi, che un tempo guardavano con orgoglio a questo simbolo della loro storia, ora la vedono come un monumento alla negligenza e alla perdita. Le autorità locali e i gruppi di conservazione hanno sollevato l’allarme sul deterioramento della struttura, ma finora gli sforzi per salvarla e restaurarla sono stati insufficienti. Villa Pignicedda rappresenta un patrimonio prezioso che non deve essere dimenticato. La sua storia, la sua architettura e il suo attuale stato di abbandono sono un richiamo all’importanza di preservare il nostro passato per le generazioni future. È imperativo che vengano intraprese azioni concrete per salvare questo tesoro, affinché possa continuare a raccontare la sua storia e a ispirare chiunque abbia la fortuna di ammirarla.
Autori: Valeria – Mimmo